Apollinare Veronesi, pioniere visionario del Novecento
Un innovatore con le gambe ben radicate nella sua storia e la testa aperta al progresso. La vita e la capacità di impresa di Apollinare Veronesi sono state caratterizzate da un continuo interesse per le nuove scoperte e dalla sobrietà dei propri valori.
Una vita che ha attraversato il Novecento, dalle foto ritoccate e le grafie gentili, all’avvento del digitale, lasciando un segno profondo nella società italiana. Non solo a tavola, ma soprattutto nel fare impresa e nella comunicazione di valori attraverso i prodotti alimentari.
Una delle caratteristiche di Apollinare Veronesi, racconta chi lo ha conosciuto da vicino, era quella di lasciare foglietti volanti con proverbi e massime. La sua calligrafia, così elegante, vergava sulla carta il suo credo trasmettendo i valori che ancora oggi guidano le persone del Gruppo e che hanno fortemente condizionato il modo di agire e di lavorare. Una saggezza contadina, eredità di una famiglia che da cinque secoli aveva avuto nella molitura il proprio sapere, che guiderà Apollinare nella sua geniale intuizione: la moderna zootecnia.
Ed è proprio con l’esempio che getta le fondamenta di quella che sarà una delle realtà imprenditoriali più importanti d’Italia. Apollinare è un uomo saggio, molto umile, un visionario che capisce come le persone possano fare la differenza in un’azienda “Vorrei che i miei dipendenti dicessero: sono orgoglioso di lavorare in Veronesi perché qui si lavora bene.” E ancora “considera il collaboratore, fino all’ultimo dipendente, parte integrante come un proprio familiare”. Apollinare è un uomo “del fare”, non ama perdere tempo in chiacchiere: “parla poco ed ascolta molto” è uno dei suggerimenti preziosi che lascia ai suoi nipoti e ai suoi figli.
C’è una foto che mostra un giovanissimo Veronesi, diciannovenne, mentre posa sul predellino dello SPA, un autocarro che la famiglia ha acquistato di seconda mano, o forse anche di terza, nel 1930.
Motore Opel, cassone fatto in casa: la ditta Veronesi Marcellino & Figli, quattro uomini, funzionava bene a Lugo, nel veronese e Apollinare aveva buona facilità con i numeri. La contabilità della ditta era cosa sua. Preciso nei conti, attento, segnava tutto sul libro mastro, senza perdere un colpo.
La ditta funziona bene e supera la guerra. Dopo il ‘45 ritroviamo Apollinare alla guida di un Fiat 626; il camion, motrice più rimorchio, lo porta in viaggi costanti fra il mulino e Genova, dove le navi statunitensi sbarcano il grano del Piano Marshall. L’Italia aveva fame, la guerra aveva portato miseria, morte, macerie e borsa nera. La famiglia Veronesi allarga il campo delle sue attività con un oleificio a spremitura idraulica, per estrarre olio di semi.
Già qui troviamo traccia dell’amore per la tecnologia di Apollinare: arrivato alla Fiera Campionaria di Milano nel 1948 si innamora di una pressa idraulica della ditta Diefenbach, costa cinque milioni di lire, un patrimonio. Ma Apollinare ha già capito come potrà fruttare e la macchina viene presa e trasportata in un mitico viaggio fino nel veronese. Sarà un investimento azzeccato.
In quegli anni Apollinare Veronesi era diventato rappresentante per Verona e provincia della ditta Vitasol, produttrice di lievito di birra irradiato. Con un’aggiunta di vitamine quel prodotto piaceva e faceva bene a bovini e suini. È così che stringe amicizie e conoscenze con allevatori della pianura e veterinari. Oggi diremmo che riuscì a costruire una rete di contatti in cui la condivisione delle esperienze fu utile per capire come ampliare il proprio business. Perché il suo sapere sull’alimentazione degli animali e sui modi di allevarli si approfondì considerevolmente, anche grazie a un fattore per noi oggi scontato: la dimestichezza nel viaggiare.
Nel 1956 Veronesi è in Olanda, per visitare un allevamento di polli: il suo stupore è per gli impianti, modernissimi, condotti con tecnologie mai viste. Torna con una consapevolezza, la carne sfama il mondo, occorre aprire allevamenti su grande scala.
Il primo maggio del 1958, a 47 anni, Veronesi carica la famiglia, moglie e cinque figli, sulla FIAT 600 e, con la nostalgia della separazione da famiglia e luoghi dell’infanzia, si trasferisce a Quinto, in Valpantena. Lì trasforma il primo mulino di famiglia in un mangimificio e costruisce una casetta bianca a due piani, dove vivrà anche dopo aver raggiunto il successo.
Molti anni dopo c’è una ripresa di un telegiornale che riprende Apollinare Veronesi ormai ottuagenario, proprio di fronte a quella casa, che non ha mai abbandonato. «Il rumore dei camion, il frastuono della fabbrica qui vicino, per me tutto questo è musica», racconta Apollinare con un grande sorriso sotto gli occhiali dorati a goccia.
Ormai tutto è pronto per il salto nel mondo dell’allevamento. Quando gli americani raccontavano dei loro allevamenti di polli, gli italiani ascoltavano a bocca aperta. E Veronesi torna a viaggiare. Ha capito che è un metodo vincente, è curioso, chiede, annota. Va negli States e impara. Il suo marchio diventa presto un nome simbolo del comparto alimentare-zootecnico. Dagli alimenti per gli animali alla lavorazione e trasformazione delle carni il passo è ponderato, dieci anni: nel 1968 nasce AIA, Agricola Italiana Alimentare SpA, altro marchio destinato a diventare famoso nell’agroalimentare italiano ed europeo.
Dal 1989 in poi la sua lungimiranza porta a una serie di operazione di compravendita, di successo in successo fino al 1992 con la costruzione in tempi record dello stabilimento di Zevio, all’avanguardia in tutta Europa. La famiglia lo accompagna nella gestione di tutti i rami di azienda, figli e nipoti cresciuti alla scuola della sobrietà e della tradizione familiare. Ancora nuovi stabilimenti, la società diventa Gruppo, si affiancano nuovi grandi brand: Montorsi, Fini salumi, Negroni. Ma al cuore del gruppo imprenditoriale, le cui attività sono intanto confluite nella Veronesi Finanziaria Spa, c’è sempre lui, la sua famiglia, così come all’inizio.
È una storia antica, che prosegue con radici ben piantate e sempre nuove intuizioni all’avanguardia, in produzione, logistica, distribuzione, nella comunicazione sui prodotti. Perché la differenza sarà sempre nella capacità di vedere le cose con occhi nuovi, come ha fatto Apollinare.
«Quando a 12 anni andavo a dare una mano al mulino a ruota, ad acqua, giravo e curiosavo e vedevo mio papà che allungava della farina alla vecchietta, o al vecchietto, o al poveraccio. Ero il penultimo di dieci fratelli, sentivo spesso parlare dell’economia del lavoro e di casa e mi sono azzardato a rivolgermi a mio padre, allora si dava del voi. Gli ho chiesto perché non segnasse quella farina che dava senza avere denaro in cambio. La sua risposta la ricordo ancora oggi: quelli che hanno fame, disse, quelli un bel giorno ti pagheranno. In questi giorni è arrivato il capo di un istituto religioso e mi ha ricordato lui stesso questo fatto raccontato dai suoi genitori. Mi sono divertito a lavorare».
Quello di Apollinare Veronesi rimane uno dei nomi e dei marchi che fanno parte della storia del Novecento italiano e che dicono della capacità del Mugnaio della Valpantena di essere un visionario, con lo stesso sguardo fiero di quel giovane contabile su un autocarro pronto ad affrontare il progresso e l’innovazione, ma con modestia.
La modestia paga